martedì 9 agosto 2011

Capodanno a Morelia


31 gennaio 2003

Morelia, tre ore di viaggio da San Cristobal catapultano in un mondo diverso. Taxi collettivo fino ad Altamirano e poi un camion pieno di indigeni con la pelle color della terra.
Il caracol di Morelia, pochi minuti a piedi dall'abitato, immerso in una conca verde e protetto da pareti scoscese, accoglie lo straniero con un grande murale di Zapata e la scritta: Benvenuti in territorio autonomo ribelle. Il cielo carico di nuvole annuncia pioggia imminente, ma noi non ci facciamo caso intenti a guardarci intorno per scoprire la nuova realtà che ci sta accogliendo.
Dopo una breve attesa veniamo ricevuti dalla Giunta di Buon Governo.
Niente passamontagna ne paliacate rossi, oggi e un giorno di festa. Ci presentiamo e chiediamo il permesso di trascorrere con loro l'ultimo dell'anno, il 31 dicembre del 2003. Dieci anni fa in questo momento mancavano poche ore all'occupazione di cinque città ciapaneche da parte dell'ezln.
Prende la parola un'indigena giovane, i suoi occhi sono scuri e luminosi, scusandosi del suo spagnolo incerto comincia un discorso di benvenuto. La voce è insicura ma le parole sono chiare, parlano di orgoglio e di sogni in cammino. Ci ringraziano per il lungo viaggio intrapreso e per i disagi che affrontiamo per essere con loro. Ci sentiamo ridicoli. Penso ad una vasca da bagno piena di schiuma e penso alle donne e ai bambini sporchi di fango che giocano sul prato del caracol. Eppure ai loro occhi siamo noi a compiere un sacrificio, abbandonando le nostre comodità per partecipare, anche se per poche ore, alla loro lotta.
Lentamente si aspetta la mezzanotte.
Sul palco si alternano discorsi, poesia, balli tipici e rappresentazioni teatrali. Tutto ha il sapore della semplicità e dell'infanzia. Gli occidentali, abituati alla televisione e ai teatri, sbadigliano; molti vanno a riposarsi qualche ora puntando la sveglia alle undici e trenta. Si aspetta qualcosa.
Quello che leggo sui volti degli indigeni vestiti a festa è diverso. Molti hanno intrapreso un lungo cammino per essere qui. Ripenso ai racconti di feste paesane nelle nostre campagne italiane e le immagini si sovrappongono nella mia mente. Poi comincia la musica e timidamente si comincia a ballare.
Gli stranieri da una parte, disinvolti e sciolti nei movimenti e gli indigeni dall'altra, ballando seri e con piccoli passettini appena appena accennati. Cultura o timidezza? E una domanda che non trova risposta.
Mezzanotte. Si interrompe la musica e mentre fuori sotto la pioggia si sente
qualche botto, sul palco si schierano le autorità. Tutti sull'attenti.
Viene pronunciato un breve discorso e si canta l'inno zapatista. Poi ci si abbraccia e ci si scambiano gli auguri mentre la musica riprende. Un'indigena piccolina, con abiti colorati e lunghe trecce nere mi abbraccia e mi sussurra un gracias appena appena accennato. Sono confusa.
Il mondo aspettava questo momento con il fiato sospeso e loro sono riusciti a stupirci. Niente effetti speciali, ma parole semplici e il calore di un abbraccio.
 8gennaio 2004


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