mercoledì 10 agosto 2011

Capodanno aspettando



La Garrucha 31 dicembre 2005

Quando arriviamo, nel tardo pomeriggio dell’ultimo giorno dell’anno, La Garrucha mi sembra irriconoscibile. Centinaia di indigeni arrivati da tutte le comunità dei quattro municipi autonomi che formano questo caracol si mescolano alla società civile nazionale e internazionale arrivata da ogni parte del mondo per assistere alla partenza della Otra campaña. Il nostro gruppo è rappresentativo, due austriaci, due tedeschi, un greco, una costarichense e come sempre il gruppo più numeroso è quello degli italiani, ben cinque su dodici. La commissione di vigilanza e la Giunta di buon governo ci ricevono rapidamente, senza fare domande appuntano i nostri nomi, la professione e la provenienza aggiungendoli al foglio degli stranieri. Quando tocca a me butto l’occhio sul foglio compilato a mano e scopro che sono la 120 arrivata quest’oggi. Quando usciamo dalla buia sala della Giunta ormai è notte, l’aria è impregnata dall’odore del fumo prodotto dalle numerose bancarelle spuntate dal nulla per offrire ai visitanti un po’ di caffè, tamales, l’immancabile caldo di pollo e, cosa mai vista in una festa zapatista, tacos! E così comincia l’attesa…non sappiamo cosa potrebbe succedere da un momento all’altro, si sa solo che da qui, ai margini della selva, in un momento imprecisato tra oggi e domani, comparirà il Subcomandante Marcos per dar ufficialmente inizio alla nuova tappa dello zapatismo: la Otra campaña.
Da buoni occidentali siamo impazienti, tutti fanno domande, le voci cominciano a circolare, qualcuno afferma con sicurezza che tutto comincerà a mezzanotte, altri che la carovana zapatista partirà alla volta di San Cristobal alle prime luci dell’alba, ma la verità e che tutto intorno a noi le basi d’appoggio ballano felici seguendo lente cumbie e salse suonate da Los umildes e Los mayas che tra una canzone e l’altra ricordano con tristezza le loro familie lontane con cui non potranno passare la festa per poter alietare la festa di qualcun altro. Alla fine ci lasciamo coinvolgere anche noi, qualcuno ci invita a ballare, i bambini vogliono sapere qualcosa dei nostri paesi e di noi, strani esseri dalla pelle chiara. Intorno alle undici una voce al microfono invita le basi d’appoggio a indossare i propri passamontagna e annuncia che da questo momento sarà possibile fare foto. L’eccitazione sale, i fotografi corrono prima ad un palco, poi si accorgono che qualcuno incappucciato sta salendo sull’altro, posizionato dalla parte opposta del grande spiazo e si precipitano dall’altra parte brandendo le macchine fotografiche pronte a scattare. Si canta l’inno messicano e poi quello zapatista, poi è la volta delle autorità della Giunta di Buon governo Cammino del futuro che cominciano ricordando con un minuto di silenzio i caduti nei combattimenti del 1994. Poi comincia il discorso “Abbiamo fatto dodici passi  in avanti, costruendo la storia, rendendo realtà la trasformazione con la lotta e abbiamo lavorato anche per costruire e rendere forte ciò che prima non esisteva. Adesso c’è speranza e dignità per continuare a lottare con rebeldia, uomini, donne, indigeni e non indigeni.” Poi hanno continuato ricordando che mentre avanzerà la Otra campaña il processo dell’autonomia continerà il suo cammino “l’autonomia serve per far si che i popoli da soli possano costruire il proprio sisstema normativo, politico, economico, soiale e culturale. Vogliamo che l’autonomia serva perché chi comanda lo faccia obbediendo”. Sono state pronunciate parole di speranza per il futuro e di orgoglio per il cammino percorso in questi lunghi anni, parole chiare che penetrano nei cuori di chi le ascolta, non è un caso che questo movimento indigeno sia l’unico conosciuto e appoggiato in tutto il mondo. “Fratelli e sorelle, non abbiamo altra cosa da offrirvi se non i nostri semi di speranza e i nostri cuori degni, indigeni e ribelli. Prendeteli per continuare a regalare i semi nei vostri diversi paesi del mondo.”
La mezzanotte è passata, i flash si riposano, Los umildes (i migliori del Chiapas!) riprendono a suonare e noi ci possiamo rilassare. Non è successo quello che si aspettava la maggioranza degli stranieri presenti, il Sup non è comparso dalle tenebre in sella al suo cavallo, ma le stelle brillano su di noi più numerose che mai, l’allegria ci circonda e la certezza che qualcosa sta cambiando ci accompegnerà nel nuovo anno.


Strategia della tensione
Non so bene a che ora siano terminate le danze ma alle sette del mattino uno spostamento improvviso del pullman stile guatemala parcheggiato proprio dietro al nostro furoncino, mi ha fatto sobbalzare. Di sicuro ho dormito bene ma in questo momento mi accorgo all’improvviso di tutti gli svantaggi dell’aver dormito sul tetto del furgone. Per fortuna la foschia ripara un po’ dalla luce del sole ma è impossibile scendere fino a che qualcuno non si svegli dall’interno e mi apra una porta. Impossibile anche continuare a dormire perché l’agitazione sis ta diffondendo, non troppo lentamente, tutto intorno a me. Il pullman nel frattempo ha finito la sua manovra ed è sparito dietro ad una curva, che si stiano preparando per partire? Gli stranieri stanno già smontando le tende e i più rapidi hanno già le macchine fotografiche al collo. All’interno del caracol (si, sono riuscita a scendere, grazie all’aiuto dell’autista di un pullman! W la solidarietà!) le bancarelle stanno già smontando, i tamales sono quasi finiti ovunque ma un po’ di caffè si riesce sempre a rimediare. Le ore passano lente, i caffè sono già tre, la messa è terminata, le camionette e i pullman cominciano a riempirsi di indigeni incappucciati e così decidiamo di spostare la camionetta in modo che sia pronta per la partenza. La foschia ormai è sparita e il sole comincia a picchiare, fa caldo al sole e fa caldo all’ombra. Le camionette delle basi d’appoggio si sono sistemate in fila alle porte del caracol e la gente sembra pronta per partire. I fotografi si sono sistemati all’incrocio della starda che esce dalla comunità, fremono. Si fanno supposizioni sulla direzione in cui comparirà il Sup, ma soprattutto si specula sul mezzo di locomozione prescelto. Sarà il cavallo ancora una volta? O arriverà a piedi come in molte delle riunioni preparatorie? Da queste parti sembra molto diffusa la bici, all’interno del caracol c’è anche un’officina di riparazioni, potrebbe essere una trovata originale! O magari una moto, stile Diari della motocicletta o On de road? O forse più semplicemente una macchina, magari questa ferma all’angolo con i lampeggianti sul tetto stile autoblu. Anche un bel maggiolone sarebbe originale e soprattutto molto messicano, ma forse poco pratico viste le condizioni delle strade della selva… Le ragazze sperano nel cavallo o nella motocicletta, immagini romantiche che lo renderebbero più simile all’immaginario collettivo dell’eroe o del principe azzurro. I masochisti sperano nella bicicletta, e sperano che pedalerà fino a San Cristobal. Gli esagerati aggiungono alla lista delle supposizioni l’elicottero privato. I fantascientifi puntano sul teletrasporto e vista la lunga attesa che continua a prolungarsi cominciano a far correre voci di un rapimento da parte degli alieni. La gente poco a poco comincia a rilassarsi, qualcuno scende al fiume per rinfrescarsi i piedi insieme ai maiali, i fotografi abbassano gli obiettivi e cominciano a chiaccherare. Una camionata carica di zapatisti comincia una manovra per portarsi sulla strada. L’agitazione si rimpossessa dei presenti, gli autisti corrono alle macchine i fotografi, i curiosi e le spie si armano nuovamente di macchine fotografiche. Los umildes ricominiciano a suonare, il caldo è sempre più insopportabile, i maiali si ritravono ancora una volta in compagnia di qualche turista accaldato quando un’altra camionetta accende il motore. La scena si ripete identica alls precedente, tutti corrono a cercare l’angolatura migliore senza sapere però da quale parte arriverà la star tanto attesa. Il copione si ripete identico una e un’altra volta fino a quando una voce al microfono pronuncia parole sconosciute in tzeltal.

 Quanto avevate puntato sulla moto?
La frase che tutti hanno pensato quando Marcos è apparso a bordo di una motocicletta carica di bagagli è stata “L’avevo detto io!” . Ma ormai è tardi per scommettere e il gioco d’azzardo è proibito in tutto il territorio zapatista quindi nessuno ha potuto arricchirsi alle spalle degli amici. Il Sup arriva improvviso, scortato da una macchina e i fotografi finalmente possono scaricare la tensione accumulata sfogandosi sul pulsante dello scatto. Si ferma un attimo, quasi a studiare la situazione, di sicuro gustandosi l’effetto causato dalla sua trovata, poi abbassa la visiera del casco e parte sollevando polvere per la strada diretta ad Ocosingo. Dietro a lui si incamminano lentamente le camionette e i pullman già carichi di zapatisti che lo accompagneranno fino a San Cristobal e poi ancora più dietro partono i vari mezzi della società civile che eccitata dalla novità del sup a cavallo di una moto si lancerà in un rally stile Parigi Dakar cercando di superarsi a vicenda per raggiungerlo e scattare la foto migliore. Lungo il percorso è possibile distinguere le comunità zapatiste dalle priiste. Le prime sono accalcate sulla strada gridando slogan rivoluzionari e sventolando cartelloni con i migliori auguri al sup per il suo viaggio. Nelle seconde la gente osserva dalle case e continua quasi indifferente le sue occupazioni quotidiane. Non tutti coloro che incontriamo nel cammino condividono la nostra eccitazione e il nostro entusiasmo per quello che sta cominciando in questo sperduto angolo del mondo. Una signora a cui compro dei biscotti ad Ocosingo mi domanda dove va tutta questa gente e cosa sta facendo e la stessa si ripeterà a San Cristobal poche ore dopo. Ma lo schok più grande ce l’abbiamo una volta in prossimità della valle di Jovel, quando passando all’altezza della base militare di Rancho Nuevo non troviamo il consueto posto di blocco. Ma subito ci accorgiamo anche che lungo tutto il perimetro della base ci sono militari con macchine fotografiche e telecamere. Dopo tutte le ore che abbiamo passato ad aspettare sotto il sole saremo venuti malissimo.

San Cristobal 1 gennaio 2006
Infinito. Infinito è la prima parola che mi appare nella mente quando arriviamo all’incrocio della strada che da San Cristobal porta a Tuxtla, proprio tra la fabbrica della Coca-Cola e il centro commerciale Chedraui, simboli onnipresenti di un sistema economico che non tiene conto dei più deboli e dei più poveri. Migliaia e migliaia di zapatisti incappucchiati provenienti dal cinque caracoles aspettano ordinati l’inizio della marcia che li porterà nella piazza centrale, proprio davanti al palazzo del municipio occupato nel ’94 e davanti alla Cattedrale dove cominciarono i dialoghi di pace. Quando la marcia si incammina diventa ancora più evidente la moltitudine. San Cristobal trema e le autorità spengono le luci pubbliche lungo il percorso della marcia, forse per impedire che nelle foto e nelle riprese video si possa distinguere la reale immensità di questo evento.
Lo zocalo non è abbastanza grande per accogliere tutta la gente accorsa a questo evento storico e molte delle basi d’appoggio zapatiste occuperanno pacificamente il parco centrale e i portici del municipio in cerca di un po’ di riposo. Mentre sul palco cominciano a prendere posto i comandati e le autorità zapatiste, i bambini vengono sistemati per terra a riposarsi coperti da poche coperte per ripararli dal freddo dell’inverno ai duemila metri e le strade tutto intorno si trasformano in un immanso parcheggio di camioncini, la maggior parte dei quali porta sulle fiancate l’adesivo che annuncia Muncipio autonomo zapatista.
Dopo i discorsi dei comandanti Tacho, Davis, Hortencia e Kelly è la volta del Subcomandante Marcos, ormai ribattezzato subdelegato zero. E’ la prima volta che lo si vede parlare senza leggere un discorso scritto, a volte esita ma le parole sono forti e chiare: “Cominciamo a camminare per compiera la nostra promessa della Sesta dichiarazione della Selva Lacandona. A me tocca andare per primo per vedere come sarà il cammino che percorreremo e se ci sono pericoli, e imparare a riconoscere il volto e la parola dei compagni e delle compagne. Per unire la nostra lotta zapatista con la lotta dei lavoratori delle campagne e delle città nel nostro paese, che si chiama Messico. (…) Se mi passerà qualcosa di male, sappiate che è stato un orgoglio lottare al vostro lato. Voi siete stati i migliori maestri e dirigenti e sono sicuro che continueranno a portare la nostra lotta per un buon cammino, insegnando a tutti ad essere migliori con la parola dignità.” Poi , dopo aver salutato le basi d’appoggio zapatiste cominica a parlare della Otra campaña: “La Otra campaña si propone di ascoltare tutti coloro che muovono le macchine e partoriscono i frutti della terra. Coloro che portano i servizi e i prodotti in ogni luogo e alla fine si ritrovano senza nulla. La nostra priorità è diventare compagni, solo dalla conoscenza nasce il rispetto.”
Incamminandomi verso casa incrocio due turisti italiani che camminando verso lo zocalo ancora pieno di indigeni incappucciati, si augurano che tutto sia già finito altrimenti non riusciranno a vedere la cattedrale di notte. Vorrei fermarmi a parlare con loro, spiegargli cosa sta succedendo, ma ormai è notte e di ritorno dalla selva il freddo di San Cristobal mi sembra ancora più intenso, così continuo il mio cammino solitario, pensando. Pensando al fatto che oggi, primo gennaio 2006 è cominciata la Otra campaña e molta strada c’è ancora da percorrere qui in Chiapas, in Messico, ma anche in Italia, in Europa e in ogni parte del mondo. Questo che comincia oggi non è l’unico cammino ma di sicuro ci sta insegnado a tutti, a coloro che hanno voglia di ascoltare, che è possibile inventarsi nuovi modi di fare politica, dal basso e a sinistra.